Già la scelta del titolo “Cattive”, è, per iniziare, potente e sofisticata.
La stesura, lo è altrettanto.
Valdrè, con straordinario modernismo, ribalta, nell’ epoca del femminicidio, l’immagine di un femminile maltratto e offeso, rivelandone, piuttosto, gli aspetti abusatori e, appunto, cattivi della donna.
Lo fa attraverso l’analisi di 4 romanzi, anche non troppo noti e, scritti da autrici esordienti.
L’amore bugiardo (Gone Girl) di Gillian Flynn, La sposa silenziosa (The Silent Wife) di A.S.A. Harrison, Il mistero di Oliver Ryan (Unravellign Oliver) di Liz Nuget e, infine, Tutto solo per me di Ingrid Noll.
Esperta di filmografia, che declina molto bene con la psicoanalisi, stavolta l’autrice, si misura in un progetto nuovo, la letteratura, trattato con quel tocco delicato e, insieme, di grande spessore, culturale, esperienziale e psicoanalitico che caratterizza la cifra valderiana dei suoi scritti.
Nel libro Valdrè, riesce a realizzare un trilogy tra cinema, letteratura e psicoanalisi con dei puntuali e approfonditi rimandi tra la trama dei romanzi scelti e quella di alcune pellicole cinematografiche.
Dall’analisi degli aspetti cattivi della donna, l’Autrice “apre” un grand’angolo sulla coppia e sul matrimonio e introduce un movimento introspettivo che può far male, tanto si rivela realistico e condiviso.
Si sofferma su come la criticità del matrimonio e la convivenza, in genere, possano danneggiare “le reciproche idealizzazioni, le conseguenti illusioni e tutto il corteo di proiezioni inconsce”.
Affrontare e accettare la perdita dell’idealizzazione, dice Valdrè citando Freud, è un’operazione impegnativa poiché “non è solo il mondo, nel lutto, ma l’Io a diventare vuoto”.
Allo stesso tempo, a mio avviso, “contaminando” l’oggetto d’amore delle proprie proiezioni inconsce, e facendolo diventare “figurante” dei propri desideri, il soggetto può realizzare delle “migliorie” (oggettive) sull’Altro, seppure suscettibili di crolli e dissolvenze.
Esiste un confine tra “ideali” e “idealizzazione”, laddove, molto spesso, l’idealizzazione diviene l’altare dove depositare, sacrificare e perdere i propri ideali.
Sappiamo, anche dalla psicoanalisi applicata alle coppie e alle famiglie, oltre che dal “lettino”, come, spesso, risulti un’impresa impossibile, tirarsi fuori da un legame che fa soffrire e non è più “sano”.
Separarsi viene vissuto, in molti casi, come arrivare ad un Chekpoint Charlie. Non si può passare, non si può andare oltre o in un altrove a cui, pure, si tende e si tenderà, ininfluentemente, per tutta la vita.
Cosa succederebbe? – si chiede Valdrè – a cosa si andrebbe incontro? Qual è lo spettro? (corsivo valdreiano):
“il crollo di una depressione catastrofica, una frattura malinconica o psicotica irresolubile?”
La risposta risiede nell’impianto narcisistico.
La “sofferenza narcisistica” è, infatti, uno degli aspetti che accomuna le protagoniste dei 4 romanzi. In tutte le storie, “la perdita d’oggetto è sovrapposta ad una irrimediabile perdita di soggetto”.
Denso e, a tratti, toccante, la disamina in cui ne “La sposa silenziosa”, affronta con particolare pregio stilistico e contenutistico, la cifra narcisistica della protagonista, Jodi.
Il romanzo tocca il tema del silenzio, della solitudine, del lutto che confluisce nell’atto creativo.
Le citazioni di Emily Dickinson, (poetessa tra le preferite di Valdrè) delineano una contemporaneità dove trova posto l’esatto opposto dell’outing; al contrario viene considerata salvifica “la dimensione del segreto e dello spazio privato del Sé”.
Ne “La sposa silenziosa”, è il silenzio la forza della protagonista. Valdrè lo definisce un vero e proprio talento che, poi, nel caso di Jodi, diviene “un affilata arma letale”.
“Il silenzio femminile da residuato di sottomissione si fa strumento di autorità e di potere”. .
Lo stesso ribaltamento appare in Rosi, protagonista sciapa e ininfluente del romanzo di Ingrid Noll “Tutto solo per me” che, l’ amore narcisistico, trasforma in una serial killer, perversa.
Anche ne “L’amore bugiardo”, l’idealizzazione e l’inganno, sottendono l’abuso narcisistico a danno della “Mitica Amy”, perpetrato da un ambiente (familiare e sociale) che indirizza le sue aspettative, tout court, sull’altro, derubandolo del proprio Sé, attraverso una pervasiva operazione di “idoleggiamento”.
Ne “Il mistero di Oliver”, Valdrè sottolinea un altro intrigante elemento: “lo smascheramento”.
Alice, depressa e spersonalizzata dalle controverse vicende coniugali, smaschera l’impostura narcisistica del marito, Oliver. Questo, le costerà la vita.
Valdrè associando col film “E ora paliamo di Kevin”, sottolinea un aspetto tanto inquietante quanto vero, in alcuni casi: “ il delitto sembra necessario”- dice.
Vogliate perdonarmi se inserisco, a questo punto, una personale associazione col caso di cronaca di Mario Mariolini che, commentando l’uccisione della sua compagna, avvenuta nel luglio del 1998 per sua mano, dirà: “Monica non mi ha lasciato alternativa. Se dovessi tornare indietro, sarei costretto a farlo di nuovo” (dal libro autobiorafico “Il cacciatore di anoressiche”, da cui fu poi tratto il film “Primo amore”e la trasmissione Rai “Storie Maledette”)
Delitti necessari, dunque, così come altrettanto “necessario” si rivela, a un certo punto, lo smascheramento.
In entrambi i casi, la donna è in grado di passare sopra a ogni abuso, ma “non può tollerare il furto di sé”, la perdita di sé stessa, ingannata dall’impostore narcisistico che si cela nel partner.
In entrambi i casi, lo smascheramento, costerà la vita.
La filigrana del libro identifica, in maniera suggestiva e innovativa, la letteratura come “esperienza terza”.
Il terzo occhio, come il terzo analitico di ogdiana memoria, è ciò che prende forma durante la lettura, dice Valdrè. E’ la visione insatura e non interpretativa che si sviluppa dall’incontro dell’Autore con il lettore; “fatta” dall’unisono delle reciprocità degli aspetti fantasmatici e di realtà, dalla competenza esperienziale.
“(…) lasciamo dunque libero lo sguardo e usiamo il mio tramite solo come una zattera, un traghettatore di significati possibili. L’analista in me è, prima di tutto, un lettore”(Valdrè).
E’ questa una sorprendente prospettiva in cui, la visione (che diviene una con-divisione) della letteratura, della poesia, e delle Arti, in genere, non è quella soltanto dell’Artista o del critico, o del lettore, non è indotta, bensì è il prodotto, originale e unico, dell’incontro tra soggettività che, come spiega Ogden, istituiscono, nell’incontro psicoanalitico, il terzo analitico.
Un’altra caratteristica distintiva della scrittura valderiana è, l’uso dei corsivi, che l’Autrice ama molto. Quella scrittura minuta e che si differenzia, stagliandosi dal testo, dà al concetto di cui scrive, grande energia e significazione.
Se raccolti tutti assieme, “farebbero” un altro libro, intitolato “I corsivi di Rossella “, per quanto sono comunicativi ed esplicativi di un mood non esplicito che, tuttavia favorisce nel lettore, assonanze imperdibili con aspetti della storia, anche non espressa. I corsivi di Rossella sono come il biglietto per entrare al museo, o al cinema, per restare a tema; permettono al lettore di inoltrarsi in una comprensione originale e mai scontata, persino di sé stessi alla prese col racconto che si sta leggendo.
Ugualmente importanti sono le note a piè pagina che l’Autrice, generosamente, appone allo scritto. Sono una sorpresa, un libro nel libro.
Scelte con cura, arricchiscono, se mai ce ne fosse bisogno, il testo, di notizie storiche, di costume, d’attualità.
Sicchè i libri della Valdrè, si leggono, dall’inizio alla fine, in ogni “angolino”.
Il messaggio che Rossella Valdrè invita ai suoi lettori è moderno e attualissimo.
Il femminile viene finalmente “guardato” con occhio acuto che scava nella verità e dissolva i miti che, pur racchiudendo in una cornice simbolicamente suggestiva l’individuo, per lo più, “indeboliscono l’uomo” (P.Perrotti).
In una parola, Valdrè, parla di una verità che non si dice.
La donna-madonna, allora, nell’era moderna, si affianca alla donna-kamikaze.
Quello sguardo estatico della madre col bambino, sommamente raffigurata dai pittori di tutti i tempi, si sovrappone, come in una dolorosa dissolvenza, a quello della donna guerriera, della madre-omicida, della faccendiera, della traditrice. Ma anche, (soprattutto), della donna comune, quelle come noi.
Connotarsi come Cattive attribuisce “spessore e profondità” alla donna e “conferma l’eterno “mistero” del femminino.
La società deve rassegnarsi a iniziare l’elaborazione del lutto della condizione rassicurante, introdotta e indotta, dall’immagine della Maria piena di grazia e fare posto alla Maria piena di rabbia (Scubra Libre).
Ridimensionare il falso storico che vuole una femmina che, come Eva, accosti (senza cioè troppo intervenire, quasi lambisca l’uomo) e accompagni il suo compagno, servirebbe a collocare in maniera appropriata, la donna nella contemporaneità e a consentire a tutta la collettività una visione più snella e, soprattutto, più vera e consapevole delle cose del mondo.
“Scrivere è un dramma – dice Rossella Valdrè in una mia intervista – è un dramma pieno di gioia, vengono in mente continuamente spunti, riferimenti, riflessioni, associazioni.
Come dicono Woody Allen e la poetessa Szymboska, bisogna un pò sempre divertire il lettore, allegerirlo e distrarlo dal peso della vita quotidiana, farlo viaggiare con noi e sognare…”.
Credo che il successo di Valdrè, come per alcuni artisti, risieda proprio in quello che lei stessa dirà;
“Scrivere intercetta sempre emozioni personali, aspetti di me, che magari mi sono inconsci, e che ritrovo proprio scrivendo….scrivo per amore delle verità ‘poco’ dette”…
E forse quello che affascina il lettore è proprio il contatto con certe profondità inconsce.